Patologie dell’anca: riconoscerle e trattarle con la fisioterapia
Tra le articolazioni più importanti (e funzionali) dell’organismo umano rientra indubbiamente l’anca: quest’ultima, infatti, collega l’arto inferiore al tronco e permette di svolgere una delle attività fondamentali, cioè camminare.
Date le sue implicazioni nel movimento, l’anca può essere soggetta a infortuni e colpita da patologie di diversa natura. Riconoscere il disturbo, risalire alla causa e ottenere una diagnosi corretta sono gli step da seguire per intervenire tempestivamente ed evitare spiacevoli conseguenze.
Quali sono le patologie ortopediche dell’anca?
Le patologie che possono coinvolgere l’anca dal punto di vista ortopedico sono almeno tre: coxartrosi (che comporta un intervento di protesi dell’anca), impingement femoro-acetabolare e borsite trocanterica.
Coxartrosi: sintomi, diagnosi e trattamento
La coxartrosi consiste nell’artrosi dell’anca che, insieme al ginocchio, è l’articolazione maggiormente esposta a patologie e infortuni per via del costante carico al quale è sottoposta.
Quali sono i sintomi della coxartrosi?
Quando insorge, la coxartrosi si manifesta con una serie di sintomi abbastanza invalidanti:
- dolore: è il sintomo principale, compare fin da subito e tende a scomparire con il riposo. Si riaccende quando si cambia posizione o quando si compiono movimenti che implicano la rotazione e l’abduzione della testa femorale;
- rigidità mattutina: se all’inizio della patologia dura solo pochi minuti, con gli anni tende a diventare sempre più duratura e costante;
- test del Trendelemburg positivo: impossibilità di mantenere il bacino in posizione stabile quando, in corso di deambulazione, si carica il peso sull’arto malato.
A questi sintomi si possono associare anche limitazione funzionale e dolore alla palpazione.
La patologia si evolve lentamente, passando attraverso tre fasi ben precise:
- fase 1: la patologia è ancora all’inizio, quindi è del tutto asintomatica;
- fase 2: il paziente inizia ad avvertire i primi sintomi, ma sono talmente sporadici che non sempre ci si rivolge immediatamente al medico;
- fase 3: si manifestano tutti i sintomi elencati in presenza. Se la situazione non è ancora troppo grave è sufficiente rivolgersi a un valido fisioterapista; nei casi di emergenza, invece, è necessario ricorrere alla chirurgia.
Come si diagnostica la coxartrosi?
Per capire se ci si trova di fronte a coxartrosi e per individuare sia la causa, sia la terapia più adatta è fondamentale ottenere una diagnosi certa sottoponendosi a visita ortopedica. Il medico può, tra l’altro, richiedere ulteriori esami (come i raggi X) per valutare il livello di degenerazione articolare.
Come si cura la coxartrosi?
La cura per la coxartrosi ha come obiettivo principale la riduzione dei sintomi e il miglioramento della funzionalità articolare. La figura professionale di riferimento è il fisioterapista che, tramite terapia manuali e strumentali, può sicuramente aiutare il paziente ad alleviare il dolore e a recuperare nel più breve tempo possibile.
Per quanto riguarda la terapia manuale, il fisioterapista effettua diverse tecniche di mobilizzazione articolare e miofasciale per favorire la motilità dei tessuti e ridurre il dolore; in merito, invece, alla terapia strumentale, il fisioterapista può avvalersi di:
- ipertermia;
- tecarterapia;
- laserterapia;
- ultrasuonoterapia
- correnti antalgiche.
Inoltre, nel corso della fisioterapia, il paziente può eseguire anche l’esercizio terapeutico: quest’ultimo è molto utile sia per recuperare la forza muscolare dell’anca, sia per migliorare l’equilibrio, il controllo motorio e la propriocezione.
Se non trattata per tempo, la coxartrosi può degenerare drasticamente, al punto da annullare quasi totalmente la mobilità dell’anca; in questi casi, il paziente avverte dolore costante, non è più in grado di compiere movimenti quotidiani (come salire/scendere le scale) e vede la propria qualità della vita ridursi notevolmente
Purtroppo, l’unica alternativa possibile per la cura di una coxartrosi gravi è l’intervento chirurgico, che consiste nell’impianto di una protesi in sostituzione della componente ossea malata e danneggiata. In particolare la protesi può sostituire:
- solo la testa femorale (endoprotesi);
- entrambe le componenti ossee dell’articolazione (artroprotesi), cioè la testa femorale e la cavità cotiloidea.
L’intervento di protesi dell’anca può comportare delle complicazioni, ma sono tutte prevedibili e molto rare. Si tratta di:
- TVP (trombosi delle vene profonde): si può prevenire indossando calze elastiche fin dal primo giorno post-intervento;
- lussazione della protesi: è possibile prevenirla se il paziente evita di assumere particolari posture che possano spingere la protesi a uscire dalla sua sede anatomica. In particolare, se il paziente dorme su un fianco, è preferibile inserire un cuscino tra le cosce in modo da non sovraccaricare l’articolazione appena operata;
- formazione di calcificazioni: si può impedire muovendo l’articolazione fin da subito, ma con estrema cautela e sotto la supervisione di un fisioterapista esperto.
L’intervento di protesi dell’anca non ha tempi di recupero brevi, dato che variano dai 3 mesi nel caso di endoprotesi ai 6-7 mesi per artroprotesi. Se, però, il paziente segue le indicazioni riportate precedentemente e quanto suggerito dal fisioterapista ha la possibilità di recuperare totalmente e riprendere a svolgere la propria vita in totale serenità.
Protesi dell’anca e fisioterapia
Il paziente che ha subìto un intervento di protesi dell’anca deve necessariamente seguire un percorso fisioterapico pre e post-operatorio, in modo da preparare l’articolazione all’operazione e, successivamente, recuperare appieno le funzionalità articolari.
In fase pre-operatoria, il fisioterapista ha il compito di:
- educare il paziente, indicandogli sia come respirare durante il periodo di degenza a letto, sia come utilizzare le stampelle per muoversi liberamente;
- recuperare il tono muscolare e la propriocezione dell’arto inferiore.
Nella fase post-operatoria, invece, il fisioterapista ha l’obiettivo di far recuperare al paziente quanto più possibile la funzionalità dell’anca, utilizzando:
- esercizi terapeutici, per il recupero di propriocezione, equilibrio e tono muscolare;
- mobilizzazioni manuali attive e passive, per recuperare la mobilità;
- terapia antalgica con tecniche sia manuali che fisiche, per garantire al paziente massimo sollievo.
Fin dai primi giorni di riabilitazione, il paziente esegue esercizi di rinforzo del muscolo quadricipite e dei muscoli glutei, indispensabili per la deambulazione. In alcuni casi, il fisioterapista può avvalersi dell’elettrostimolatore.
Inizialmente, il paziente deve spostarsi con l’ausilio di un deambulatore, per poi passare alla stampelle e, solo alla fine, raggiungere il carico totale. A questo punto, il fisioterapista può iniziare a lavorare sulla dinamica del passo, suggerendo esercizi volti al recupero delle prestazioni fisiche e della funzionalità dell’anca.
Impingement femoro-acetabolare: sintomi, diagnosi e trattamento
L’impingement femoro-acetabolare, noto anche come sindrome da conflitto femoro-acetabolare, consiste in una disfunzione del movimento che comporta l’alterazione della mobilità tra il femore, appunto, e l’acetabolo, cioè i due capi articolari.
Quali sono i sintomi dell’impingement femoro-acetabolare?
Quando sopraggiunge, l’impingement femoro-acetabolare provoca due sintomi caratteristici: dolore e limitazione funzionale. I movimenti che vengono inevitabilmente limitati sono:
- l’adduzione, quando si muove la coscia verso l’altro arto;
- la flessione, quando si avvicina la coscia alla pancia;
- la rotazione interna, quando si muove il piede verso l’esterno ad arto esteso.
Il dolore viene, in genere, avvertito a livello inguinale e, a volte, può espandersi sul lato o sulla zona posteriore. Nei casi più gravi di impingement femoro-acetabolare, il paziente può sentire dolore anche da seduto o quando si trova in piedi, da fermo.
Come si diagnostica l’impingement femoro-acetabolare?
La diagnosi di impingement femoro-acetabolare si ottiene solo attraverso particolari test clinici e la valutazione dei risultati di esami radiologici. Una volta scoperta l’entità della condizione, è possibile procedere con la terapia più adatta al paziente.
Impingement femoro-acetabolare e fisioterapia
I pazienti colpiti da impingement femoro-acetabolare possono (anzi, devono) rivolgersi a un fisioterapista esperto che, tramite le tecniche più indicate, può:
- alleviare il dolore attraverso mobilizzazioni, trazioni e supporto di mezzi fisici quali tecarterapia e ipertermia;
- migliorare il controllo motorio dell’articolazione, grazie a determinate tecniche di terapia manuale ed esercizi attivi;
- correggere le posture che aggravano la situazione, come accavallare le gambe o scaricare tutto il peso corporeo su una sola anca.
I tempi di recupero dell’impingement femoro-acetabolare variano da paziente a paziente ma, tendenzialmente, non si rivelano molto lunghi; è molto importante, per accelerare il processo di guarigione, iniziare fin da subito un percorso riabilitativo fisioterapico che, già dalla prima seduta, è in grado di donare al paziente sollievo e benefici.
Borsite trocanterica: sintomi, diagnosi e trattamento
Per borsite trocanterica si intende l’infiammazione di una o più borse (le sacche di liquido sinoviale) collocate in prossimità del grande trocantere, cioè una prominenza ossea che si trova sotto il collo del femore.
Ancora oggi, le cause della borsite trocanterica sono perlopiù sconosciute; tuttavia, microtraumi ripetuti nel tempo e problemi funzionali sono indubbiamente fattori di rischio molto importanti.
Quali sono i sintomi della borsite trocanterica?
La borsite trocanterica causa nel paziente una serie di sintomi abbastanza riconoscibili, in primis:
- gonfiore locale;
- dolore alla palpazione;
- dolore durante il movimento.
All’insorgenza di questi sintomi, è opportuno rivolgersi immediatamente a un medico ortopedico per ottenere una diagnosi certa e accurata.
Come si diagnostica la borsite trocanterica?
La diagnosi di borsite trocanterica si raggiunge tramite l’esecuzione di specifici test clinici e con la valutazione dei risultati di un’ecografia o di una risonanza magnetica, dato che entrambe consentono di rilevare l’entità dell’infiammazione in corso.
Borsite trocanterica e fisioterapia
Dopo aver ottenuto la diagnosi, la borsite trocanterica si può curare principalmente con farmaci antinfiammatori e fisioterapia. Se i primi servono principalmente per alleviare il dolore e ridurre l’infiammazione, la seconda ha obiettivi a lungo termine, che possono essere raggiunti con l’ausilio di mezzi fisici come:
- tecarterapia;
- ipertermia;
- ultrasuoni;
- tecniche di terapia manuale;
- esercizi terapeutici.
Inoltre, è molto importante che il paziente affetto da borsite trocanterica svolta una costante attività fisica, mantenga un adeguato peso corporeo ed effettui controlli periodici per valutare lo stato di salute del sistema muscolo-scheletrico.
Grazie alla fisioterapia e alla buona volontà del paziente, i tempi di recupero dalla borsite trocanterica sono relativamente brevi: solo nei casi più gravi si richiedono 30 giorni e l’intervento chirurgico non è quasi mai necessario. Nel caso in cui la borsa sinoviale dovesse gonfiarsi, infatti, il medico preferirà sempre aspirare il liquido in eccesso senza ricorrere alla chirurgia.
Categoria Articolo: Fisioterapia Parma